I DIRITTI DEL CONVIVENTE CHE LAVORA NELL’IMPRESA FAMILIARE

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 depositata il 25 luglio 2024, ha dichiarato incostituzionale l’art. 230-bis, comma 3, del codice civile, perché non include il convivente more uxorio tra i “familiari” che, lavorando stabilmente nell’impresa familiare, acquisiscono diritti. Inoltre, non considera “impresa familiare” quella dove collabora anche il convivente di fatto.

Questa decisione ha portato anche all’annullamento dell’art. 230-ter del Codice civile, che dal 2016 ha garantito al convivente di fatto una tutela lavorativa inferiore rispetto a quella del coniuge e degli altri familiari previsti dall’art. 230-bis.

La questione di costituzionalità degli artt. 230-bis e 230-ter c.c. era stata sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 35, 36 e 117 della Costituzione, e agli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e all’art. 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Il caso riguardava Tizia, che aveva convissuto con Caio dal 2000 fino alla sua morte nel 2012. Tizia aveva chiesto in giudizio il riconoscimento della sua partecipazione all’impresa familiare di Caio, nella quale aveva lavorato per 8 anni, e la conseguente liquidazione della sua quota.

I giudici di merito avevano rigettato la richiesta di Tizia, basandosi su due punti principali: l’art. 230-bis c.c. riconosce diritti solo al coniuge, ai parenti entro il terzo grado, agli affini entro il secondo grado e, dal 2016, alle persone unite civilmente dello stesso sesso. L’art. 230-ter c.c., che riconosce diritti al convivente more uxorio, è stato introdotto nel 2016 e non si applicava retroattivamente al caso del 2012.

Tuttavia, le Sezioni Unite della Cassazione avevano sollevato dubbi sulla costituzionalità di escludere il convivente di fatto dai benefici dell’art. 230-bis c.c., visto che questa norma mira a superare la gratuità del lavoro svolto in ambito familiare.

La Corte Costituzionale ha concordato, ricordando che la convivenza di fatto è protetta dall’art. 2 della Costituzione come “formazione sociale” dove si sviluppa la personalità dell’individuo. Le differenze di trattamento tra matrimonio e convivenza di fatto devono cedere di fronte ai diritti costituzionali.

Nel caso specifico, trattare il convivente more uxorio in modo diverso dal coniuge o dal partner unito civilmente è ingiusto e lesivo del diritto al lavoro (art. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36 Cost.). Il convivente more uxorio rischia di vedere il suo lavoro considerato gratuito a causa della relazione affettiva con l’imprenditore, ed è quindi irragionevole negargli le stesse garanzie riconosciute dall’art. 230-bis c.c.

Infine, la sentenza ha rilevato che le norme censurate violano l’art. 3 della Costituzione, non solo per la sua portata eguagliatrice, ma perché escludere il convivente dalla tutela del diritto al lavoro è contraddittorio e lesivo del principio di uguaglianza.