PATOLOGIE DELLE CONVIVENZE: ASSEGNAZIONE CASA FAMILIARE. CASO CONCRETO

Oggi vogliamo condividere con voi un argomento caro allo Studio, il contratto di convivenza, nello specifico, di cosa accade alla casa di comune residenza nel caso in cui la coppia abbia dei figli minori e decida di separarsi. Lo faremo partendo da un caso pratico: Mario e Francesca convivono nella casa di esclusiva proprietà di Mario, con i due figli minori. La coppia già da due anni vive una profonda crisi di rapporto. Decidono di separarsi. Il giudice stabilisce che i figli vengano affidati alla madre. Non essendo a conoscenza della legge n. 76 del 2016, “Legge Cirinnà”, fin dall’inizio della loro convivenza non avevano mai pensato in prospettiva. Consideravano la convivenza un regime libero. Non hanno quindi mai stipulato alcun contratto di convivenza. Le quaestio che sorgono in merito alla situazione sono diverse:
  • Viene riconosciuto un diritto di abitazione alle coppie conviventi?
  • Il diritto di abitazione permane in capo al genitore cui spetta l’affidamento dei figli, nella casa di proprietà dell’altro ex convivente?
  • Se l’ex convivente, colui il quale rimane ad abitare nella casa in oggetto, si sposa o intraprende una nuova convivenza con un terzo, il diritto di abitazione viene meno?
Viene riconosciuto un diritto di abitazione per i conviventi? L’art 1, comma 42 della legge 76/2016 recita: «salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del Codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni». Il diritto di abitazione tra le coppie conviventi sussiste. Il diritto di abitazione permane in capo al genitore cui spetta l’affidamento dei figli, anche se la casa è di proprietà dell’altro ex convivente? Dobbiamo considerare il diritto di abitazione legato ai due figli minori, che nel caso in esame vengono affidati alla madre. Possono quindi i tre rimanere nella casa di esclusiva proprietà del padre? A tal riguardo viene esplicitamente richiamato l’art. 337-sexies del Codice civile dove si dispone: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo in via prioritaria conto dell’interesse dei figli”. In altri termini, il diritto di abitazione serve per tutelare la prole, indipendentemente dal fatto che i figli siano nati all’interno di una coppia sposata, all’interno di una coppia di fatto o all’interno di una coppia di conviventi. Quindi il genitore convivente, presso cui sono stati collocati i figli può rivendicare il diritto di abitazione nella casa del compagno/a. Vien da sé che il fatto di essere proprietari del bene già da prima dell’inizio della convivenza è del tutto ininfluente, rilevando solo il fatto che, all’interno dell’abitazione in questione, la coppia ha fissato la propria dimora abituale. Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale permane fintantoché il genitore con i figli restino all’interno di quell’abitazione o finché i figli non vadano a vivere da soli o comunque non raggiungano l’indipendenza economica. Sicché, in presenza di uno di questi tre eventi, la casa torna al legittimo proprietario. Se l’ex convivente, colui il quale rimane ad abitare nella casa in oggetto, si sposa o intraprende una nuova convivenza con un terzo, il diritto di abitazione viene meno? Sempre all’art. 337-sexies del codice civile, la legge prevede che: “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”. Qui la legge sembra essere molto chiara, tuttavia, in primis la Corte Costituzionale con la Sentenza 30 luglio 2008 n. 308, si è espressa a riguardo e ha statuito che il giudice deve sempre valutare qual è il prioritario interesse del figlio minore. Nel caso in cui ciò non avvenga si determinerebbe una discriminazione nella tutela dei minori in ragione delle scelte di vita del genitore. Non solo, lo stesso principio è stato ribadito dalla stessa Corte di Cassazione con la Sentenza n. 16.171 del 15 luglio 2014, che ha rigettato il ricorso di un genitore avverso una sentenza che aveva negato la revoca del provvedimento di assegnazione della casa familiare in favore della ex compagna (convivente con i due figli minori) dopo che quest’ultima aveva contratto nuove nozze e cominciato a convivere con il coniuge nella casa di proprietà dell’ex partner. Queste due pronunce, una della Cassazione e una della Corte Costituzionale, rispondono chiaramente alla terza domanda: se l’ex convivente, colui il quale rimane ad abitare nella casa in oggetto, si sposa o intraprende una nuova convivenza con un terzo, il diritto di abitazione permane. Quindi Francesca, dopo aver chiuso la convivenza con Mario e continuando a vivere nella casa di proprietà dello stesso Mario con i due figli minorenni, decidesse un giorno di sposarsi con Franco, il nuovo nucleo familiare così formato potrebbe continuare a vivere senza problemi nella casa di proprietà di Mario.